Si stima che nell’Unione Europea vi siano circa tre milioni di siti potenzialmente contaminati. In Italia viene condotta per lo più attraverso tecniche ex situ di tipo convenzionale: per i suoli, prevale lo scavo e smaltimento in discarica (dig & dump), tecnica che considera il suolo come un rifiuto piuttosto che come una risorsa da risanare e riutilizzare. Dopo oltre 40 anni la tecnica utilizzata a Seveso è ancora la prevalente...

Business Unit: Project & Construction Management

Il 10 luglio del 1976, un’esplosione nell’impianto chimico ICMESA a nord Milano ha rilasciato una spessa nuvola bianca di diossina che rapidamente si è depositata nei territori attorno a Seveso. E’ considerato il più grave disastro ambientale mai avvenuto in Italia.

E’ da qui che nascono una serie di norme per cercare una politica comune per prevenire e affrontare i grandi rischi e noi eravamo presenti e operativi nell’Ufficio di Direzione Lavori.

Nel 1982 venne approvata una direttiva chiamata “Direttiva Seveso” oggi arrivata alla versione III che impone da allora agli stati membri di identificare gli stabilimenti a rischio e di stabilire una serie di rapporti periodici e piani di intervento in caso di emergenza.

In quel 1982 si procedeva nei lavori di Bonifica di Seveso … al riempimento del bacino e alla riapertura al traffico i Via Vighizzola.


Investitore: Givaudan & C. di Vernier-Ginevra

Portatori di interesse: Ufficio Speciale “Regione Lombardia”

Cliente: Dr. Ing. Giovanni Lombardi (Studio di Ingegneria)

Periodo: 1979 –  1984

Partecipazione all’Ufficio Direzione Lavori: Dott. Arch. E. Arnoldi e relativo staff

Il disastro ambientale

Il 10 luglio 1976 era un sabato caldo d’estate, ma all’ICMESA di Meda – industria chimica al confine con Seveso – le attività continuavano.

In origine sotto il gruppo svizzero Givaudan, passato allora da pochi anni sotto la holding  Hoffmann-La Roche, la fabbrica produceva essenze aromatiche ottenute sinteticamente, intermedi per l’industria cosmetica e farmaceutica. Profumi.

La produzione si amplia a partire dagli anni Settanta: nell’impianto destinato al 2,4,5 triclorofenolo (TCP) – composto tossico non infiammabile utilizzato come base per la produzione sintetica di disinfettanti e diserbanti – in genere non vanno superati, in lavorazione, i 150-160°.

A temperature superiori si innesca la produzione di un’impurità, la 2,3,7,8 tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD),  comunemente nota come diossina, sostanza altamente tossica, con un elevato livello di persistenza e stabilità.

Il reattore del triclorofenolo (un composto organico utilizzato come diserbante e funghicida), il reattore A, si trova nel “capannone della vaniglia”, nell’edificio B.

Ed è lì che attorno alle 12.37 del mattino del 10 luglio 1976 il disco di rottura della valvola di sicurezza del reattore cede a causa del raggiungimento anomalo della temperatura troppo elevata di circa 250°.

La famosa nube bianca dei racconti di chi c’era – principalmente diossina e soda caustica – viene rilasciata dall’impianto dell’ICMESA.

Inizia a diffondersi rapidamente per distillazione su tutta l’area circostante, portata da un vento insolito per la stagione, che soffia a una velocità di 5m/sec verso sud-est. 

Trenta chili di diossina TCDD, sospinti dal vento, investirono i comuni di Seveso, Meda, Cesano Maderno, Desio e Bovisio Masciago.

Nel giro di poche ore, un odore definito dai residenti “insopportabile” si diffuse nella zona, causando bruciori alla gola e agli occhi ma anche nausea, vomito, febbre alta e pancreatite.

Per otto giorni, le autorità tennero la popolazione all’oscuro dell’accaduto; nel silenzio istituzionale, 240 persone riscontrarono la cloracne, una violenta eruzione cutanea che può causare cicatrici anche permanenti. 

La zona intorno all’Icmesa, di proprietà della svizzera Givaudan & C. di Vernier S.A., venne suddivisa in tre aree, a seconda della concentrazione di diossina nel terreno: la zona A – la più colpita -, la zona B, e la zona di Rispetto, o zona R.

La zona A venne transennata ed evacuata, suddivisa in zone da A1 ad A5 le abitazioni furono abbattute e il terreno asportato.

Nella zona B e nella zona R, dove il rischio al tempo venne valutato più basso,  le autorità imposero il divieto di coltivare e di allevare animali: la diossina TCDD, infatti, contamina con facilità le parti grasse di ortaggi, carne e uova.

Il Progetto

Gli svizzeri affidano il progetto di bonifica allo Studio Giovanni Lombardi e l’esecuzione del progetto di bonifica ambientale prese avvio a giugno del 1980. Fino al novembre 1981 si demolivano gli edifici e si dava avvio all’approntamento dei bacini di contenimento.

Nel corso delle sue attività professionali, l’Arch. Emilio Arnoldi ha partecipato all’Ufficio Direzione Lavori della Bonifica di Seveso Zona A1 per conto dello Studio Lombardi e consulente Italimpresit Zone A2 – A5. 

Tra il 1981 e il 1984 la Direzione Lavori fu impegnata nei controlli, liquidazione danni e la costruzione di due vasche impermeabilizzate dove depositare il materiale contaminato. La capacità della vasca di Seveso è di 200.000 m³, mentre la capacità di quella di Meda è di 80.000 m³.

Per la messa in sicurezza del materiale contaminato è stato adottato un sistema di quattro barriere successive, che separano l´inquinante dall´ambiente esterno.

Le vasche sono dotate di una serie di strumenti di controllo che verificano eventuali perdite, garantendo la salvaguardia del luogo.

Gran parte del materiale inquinato è rappresentato dal terreno di superficie che fu tolto dall´intero territorio della Zona “A” fino ad una profondità di 46 centimetri.

Sono contenuti, all´interno della vasca di Seveso, i resti delle case, gli oggetti personali, gli animali morti o successivamente abbattuti a seguito dell´incidente (furono più di 80.000 gli animali morti o abbattuti) e parte delle attrezzature utilizzate per la bonifica.

In conclusione dei lavori ambientali, sopra due vasche giganti che contengono i resti di centinaia di animali macellati, la fabbrica distrutta e la terra che ha ricevuto le maggiori dosi di diossina, oggi si trova un grande parco, il futuro Bosco delle Querce.

Riflessioni dopo oltre 40 anni

Dopo una lunga carriera passata nel mondo della gestione di grandi commesse, è il momento della riflessione su una data tragica, che ha portato morti e malattie, danni all’economia, drammi e che ancora oggi si trova al centro di importanti progetti siano essi per nuove infrastrutture o siano di modifica dei processi volti a comprendere metodologie di bonifica capaci di confinare e bonificare l’intera massa inquinata con l’obiettivo di produrre ZERO RIFIUTI.

Ciò che conta è che finalmente si sia coeriamo che il Suolo è un Bene Comune Fondamentale per i suoi aspetti ambientali economici e sociali.

Da allora le bonifiche ambientali utilizzano ancora la tecnica di bonifica applicata a Seveso, il dig and dump – letteralmente “scava e porta in discarica” – nelle statistiche aggiornate è ancora l’intervento prevalente.

Le Lezioni Apprese in questi lunghi 40 anni hanno dimostrato che questa tecnica è ormai obsoleta e deve essere superata con l’attuazione di Bonifiche in Situ, su cui stiamo lavorando nei nostri laboratori di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie.